Liberazione… incompiuta!

Di seguito il testo del volantino che abbiamo distribuito oggi 25 Aprile 2008 lungo il corso Garibaldi a Benevento durante un banchetto.

Relegato dal revisionismo della storiografia ufficiale alla dimensione mistificante e mortificante -soprattutto se si pensa alle innumerevoli vite che si consumarono nella lotta partigiana- di una festività come tante, il 25 Aprile è stato facilmente “recuperato” entro la tribuna democratica, attraverso le pose antifasciste che talora assumono certi membri del governo a mero scopo politico-elettorale.

Eppure, più di 60 anni fa, in tanti sono saliti sui monti (anarchici compresi), ed in tanti non sono più tornati, per battersi per un mondo nuovo, per combattere il fascismo, quella che fu, in quel dato momento storico, la risposta del Capitalismo ad una delle sue solite crisi, un freno, cioè, del padronato borghese alla radicalizzazione del conflitto sociale che aveva caratterizzato la stagione rivoluzionaria del “biennio rosso”. Ma, nonostante gli sforzi di quei tanti che parteciparono alla Resistenza, essa non imboccò la strada voluta da chi, sin dall’inizio, aveva individuato nel fascismo una esigenza intrinseca e funzionale al sistema, e che, parallelamente, dall’opposizione a quella singola “degenerazone” voleva sviluppare una critica totale alla struttura gerarchica e verticistica della società. Essa non piegò purtroppo verso la Rivoluzione Sociale. E cosa successe?!

 ·        Guerra e militarismo. Prima, si combatteva per “civilizzare i popoli inferiori”, perché l’uomo (come esprimeva benissimo pure il culto ossessivo del corpo maschile che la cultura fascista proclamava) per essere tale doveva combattere. Perché la Patria viene prima di tutto, e combattere e morire per essa è un grande onore, perché la guerra è il modo migliore per esprimere l’energia vitale di una nazione, ed in fondo in fondo perché si aveva bisogno di nuovi mercati, di materie prime, di forza lavoro a basso costo e di distogliere l’attenzione dalle crisi interne e inventarsi nemici esterni su cui sfogare le frustrazioni delle masse. Poi è arrivata la Repubblica che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e quindi è stato necessario, perlomeno nel linguaggio ufficiale e a titolo puramente formale, sostituire la guerra con le “missioni umanitarie”, “le missioni di pace” (solo la “missione di pace” in Iraq, condotta al fianco di quell’altro grande campione dell’occidentalizzazione democratica, gli USA, ha visto la morte di circa 63.000 civili). Parallelamente si incentivano la costruzione di basi militari (vedi Dal Molin a Vicenza) e lo stanziamento di testate nucleari sul territorio nazionale. Ora non ci sono più popoli inferiori da civilizzare, ma paesi “non sviluppati” da democratizzare. E capita, come nella nostra città, che chi si oppone al militarismo venga condannato per “vilipendio delle forse armate” perché chiama la guerra in Iraq ed in Afghanistan e i morti a Nassiriya con il proprio nome. 

·        Razzismo e repressione. Prima, nel mirino c’erano gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i comunisti e gli anarchici, o chi in qualche modo remava contro in quel “grande progetto di rinascita nazionale”. Solo per loro in programma c’erano olio di ricino, deportazioni, confino, tortura, forni e morte in diverse varianti. Le leggi, come quelle del ’39, si chiamavano col proprio nome, leggi razziste. Oggi, l’ex governo amico, emana decreti contro i cittadini europei considerati di seconda classe, “perché se si è rumeno di sicuro qualcosa di male bisogna farla per campare”. La colpa non è di una società infame, studiata per pochi, che costringe alla povertà, ma di chi è “colpevole” di appartenere ad una determinata etnia o gruppo linguistico, e di provenire da territori a cui il Capitalismo ha tolto tutto in ogni modo possibile. I campi di concentramento, nonostante ci sia qualcuno che preme per la loro riapertura nella versione con le ciminiere, si sono trasformati in Centri di Permanenza Temporanea (CPT), dove si può essere rinchiusi anche quando non si sono commessi reati, basta non possedere il pezzo di carta giusto. E non importa se non sei di quelli che alla disoccupazione hanno scelto l’esproprio, perché ti ci puoi trovare in qualsiasi momento nonostante tu abbia rischiato la pelle quotidianamente in tutti quei lavori che gli italiani hanno smesso di fare, se hai passato giornate alla pressa o in bilico su un’impalcatura per costruire una casa in cui non abiterai mai, sfruttato e malpagato (quando ti va bene). Anche le carceri sono rimaste le stesse, e così come vi si moriva prima, vi si muore anche adesso un po’ come è successo a tutti quei compagni che vi entrarono sotto il fascismo e vi rimasero nonostante la “liberazione” e l’instaurazione della democrazia. Succede poi che a finirci dentro siano sempre gli ultimi degli ultimi, o chi per un motivo o per un altro non si adegua e alla rassegnazione a questo esistente sceglie la lotta. 

·        Sessismo. Le donne dovevano essere gli angeli del focolare, coloro le quali si sarebbero dovute occupare della casa e della famiglia. Le sforna-figli da mandare in guerra. Non vi era altro posto per loro. Chi “egoisticamente” sceglieva di non voler mettere al mondo un figlio costretto alla sofferenza o alla miseria era considerata nemica della nazione. Oggi capita che ci sia chi, come Ferrara, addirittura inventi liste elettorali incentrate sulla messa in discussione dell’ autodeterminazione della donna, criminalizzando una scelta soffertissima come quella dell’aborto. Che le donne, oltre ad essere ancora una volta relegate al ruolo disumano e disumanizzante di “incubatrici”, agli stereotipi medievalistico-paternalistici di “donna-oggetto” e “donna-soggetto debole da tutelare, incapace d’iniziativa autonoma”, si siano pure sporcate le mani con tutte quelle attività fecciose che prima coinvolgevano solo l’uomo; esse hanno finito con l’inseguire un ideale “emancipazionista” che ritorna in qualche modo funzionale alle esigenze degli assetti di potere e che probabilmente è lontanissimo da una reale liberazione culturale, sociale, economica e politica dell’essere femminile. E così ci troviamo costretti allo spettacolo disgustoso di donne soldato, poliziotto e parlamentari. 

·        Autoritarismo. Lo Stato è tutto. Questo il programma di Mussolini. Un apparato burocratico capillare che fosse in grado di penetrare nella testa di ogni individuo e permeare ogni aspetto della vita privata e pubblica. Rinunciare completamente alla propria libertà, alle proprie propensioni, perché si sarebbe occupato di tutto lo Stato. Poi si è scelto tra Repubblica e Monarchia, e sebbene per poco la Repubblica ce l’abbia fatta cos’è cambiato? Dal partito unico si è giunti ai presupposti elettorali odierni che prevedono due partiti soltanto (bipartitismo alla tedesca), uno la controfigura dell’altro, per i quali si vota con la logica del meno peggio. Il meccanismo alla base non è cambiato. Ogni cinque anni si ha il “diritto” di delegare con un segno a matita le scelte che riguardano la nostra vita. Poi tocca obbedire e calare la testa. Sì, ogni tanto un mugugno è consentito, ma purchè non metta in discussione lo status quo. Ci si abbassa anche a sentire le rimostranze delle persone di Sant’Arcangelo Trimonte che non vogliono l’ennesima discarica regionale sul proprio territorio e da settimane sono incatenati sotto la Prefettura. L’importante è che essi continuino a non avere remore nei confronti dei potenti, che non seguano le idee balorde di chi vuole risolvere il problema “rifiuti” non andando incontro alle istituzioni con la raccolta differenziata, ma eliminando radicalmente sia le istituzioni, sia il sistema di produzione attuale, causa reale del mare di merda che ci circonda. 

L’elenco sarebbe ancora lungo. Si potrebbe parlare ancora della proprietà privata, dello sfruttamento del lavoro salariato, oggi sempre più precario, dei quartieri ghetto e delle bidonville, dell’arroganza poliziesca e del suo “onesto esercizio professionale”, del controllo sociale e delle microspie che vengono trovate un po’ in tutta Italia (e anche a Benevento), nelle sedi politiche “non allineate”, e così via.

 

Preferiremmo che il 25 Aprile non sia una semplice giornata per passeggiare in compagnia, con i “compagni” che si riscoprono antifascisti un giorno all’anno, ma il punto di partenza per un’azione rivoluzionaria, antiautoritaria, slegata da logiche di partito, realmente autorganizzata, che punti alla distruzione di un mondo da troppo tempo in putrefazione, e ad una nuova ricostruzione che si fondi sulla libertà e l’uguaglianza di e per tutti. Senza più Stati né Capitale.

 

“… il sangue, la coerenza dei “sovversivi”, dei “terroristi” che combatterono il fascismo durante il ventennio, la forza libertaria dei giovani che, dopo l’8 settembre, presero le armi per liberare le loro terre e le loro genti dall’oppressione nazifascista… quei partigiani che dopo il 25 aprile non si integrarono nel nuovo sistema e si ritrovarono ancora una volta “sovversivi”, “banditi” colpiti dalla repressione del nuovo governo: questa è la memoria che vogliamo conservare e coltivare…” 

 

GRUPPO ANARCHICO "SENZA PATRIA"

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