Il vero pericolo è la rassegnazione

LA RIVOLUZIONE DEL ROJAVA E CHI LA SOSTIENE SONO UNA RISORSA DELL’UMANITÀ!

Mentre le manovre liberticide dell’attuale governo pendono come un’affilatissima spada di Damocle sulle nostre teste, configurandosi come i puntuali strumenti di un complessivo disegno patriarcale, razzista ed autoritario, ci arriva notizia dell’ennesima operazione repressiva ai danni di chi cerca, mettendo in gioco la propria vita, di spezzare la trama di sfruttamento cucita, globalmente, da Stato e Capitalismo.

Il 23 gennaio  una Compagna e 4 Compagni di Torino dovranno presentarsi davanti a un giudice col rischio di vedersi applicate delle misure fortemente restrittive: il divieto di dimora a Torino (ossia l’espulsione dalla città per due anni – rinnovabili!) e la “sorveglianza speciale, una misura preventiva di stampo ed epoca fascista che comprende, tra le altre cose, il sequestro di passaporto e patente, limitazioni sugli spostamenti dalla propria abitazione e nelle comunicazioni con l’esterno, comparizione davanti alle forze di polizia e divieto di svolgere talune attività sociali e politiche. Una misura fortemente lesiva della libertà personale insomma, la cui richiesta non rappresenta semplicemente un’ulteriore cartina di tornasole della brutta aria che tira in Italia, al pari della speculazione sulla tragedia di Desirée e del più recente caso mediatico delle imbarcazioni umanitarie Sea Watch e Sea Eye, tenute in ostaggio in mare aperto, bensì anche, qualora venisse accolta, un pericoloso precedente in termini repressivi nei confronti di chi sostiene il processo rivoluzionario in atto nel Kurdistan Siriano.

Alla base di queste richieste, avanzate significativamente da una PM tristemente nota per l’accanimento nei confronti del movimento NoTav e dell’attivismo politico torinese (il che rende la vicenda rilevante anche da un punto di vista della repressione locale!), ci sarebbe la presunta pericolosità sociale” di Eddi, Jacopo, Jack, Davide e Pachino per aver combattuto, in periodi e modi diversi, contro l’Isis e il  jihadismo, e aver sostenuto la costruzione di un altro modello sociale nel Nord della Siria.

Da anni infatti quelle popolazioni, di differente etnia e cultura, provano a convivere pacificamente attraverso l’organizzazione sociale del confederalismo democratico, un sistema che parla di cooperazione e autodeterminazione dei popoli, della salvaguardia della Terra che ci ospita e della liberazione ed autonomia della donna.

E da anni sodali da tutto il mondo partono alla volta di quella “(…) terra libera. Una terra libera e di libertà soprattutto per le donne, che sono l’avanguardia di questa Rivoluzione. (…) perché se si vuole una società libera bisogna che le donne siano libere (…)”. Una rivoluzione cruciale quindi, che va difesa, con le basi sociali, politiche, culturali, con l’amore, ma anche con le armi ed è questa l’ispirazione che guida YPG e YPJ, rispettivamente le unità di difesa del popolo e delle donne: dei corpi armati cui persino le truppe NATO si sono alleate per fermare l’avanzata del Califfato islamico nella regione, ma soprattutto delle organizzazioni rivoluzionarie che hanno alimentato un cambiamento sociale radicale, mettendo, tra le altre cose, le donne in condizione di autodifendersi e difendere la propria comunità (come ha potuto sperimentare anche Eddi)!

Dunque un civile diventa soggetto “pericoloso” perché ha preso parte a un addestramento militare che non è seguito e controllato da uno Stato Sovrano, che ne detiene il monopolio?! Anche quando, combattendo, ha sostenuto delle milizie che, a suo tempo, si sono riconosciute, opportunisticamente, come “alleate”!? E se questo civile è un “partigiano”, un Compagno, uno che è propenso a lottare per costruire un mondo più giusto?! Questa è una delle più grandi contraddizioni dello Stato di diritto e delle democrazie liberali, che cozza inevitabilmente col diritto all’autodeterminazione e all’autorganizzazione dei popoli.

Ecco allora che la minaccia gravissima di questi dispositivi repressivi pende non solo su degli attivisti torinesi (che hanno aggirato la “contraddizione”, che hanno avuto l’ardire di esserci, di cogliere quell’opportunità storica di pace, giustizia ed uguaglianza che si sta realizzando in Medioriente); e questo non è solo un esperimento partito dalla Procura di Torino, che rischia di far da manuale per le successive operazioni repressive ai danni della solidarietà internazionalista, e che, linearmente, arriva dopo l’accusa di terrorismo ad altri solidali sardi; ma, ad essere messa sotto accusa, è proprio un’esperienza antitetica alla modernità capitalista e statale; un esperimento di Autogoverno ed Uguaglianza che molto potrebbe suggerirci; un esperimento che attualmente subisce minacce di nuove aggressioni da parte della Turchia ma, al tempo stesso, si intensifica attraverso lo sciopero della fame di centinaia di persone, fuori e dentro le carceri, per ottenere la fine dell’isolamento di Öcalan.

Soprattutto si prova a delegittimare la prova fattuale che è possibile vivere in un modo diverso, che non tutto è perduto, che possiamo essere ancora artefici del nostro destino.”

“L’amore è la bella vita… la Rivoluzione è la strada che ci conduce verso quella bella vita”

Solidarietà coi 5 torinesi e con chi lotta

A difesa della solidarietà internazionalista

A difesa del Rojava e della rivoluzione delle donne

Anarchiche e Anarchici beneventani

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Una risposta a Il vero pericolo è la rassegnazione

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