Femminicidio e dintorni

Alcune riflessioni a proposito di certe “manifestazioni” contro la violenza sulle donne e la decostruzione di Ruoli e Linguaggio.

Nell’epoca dell’ipertrofia informativa e dell’invasione mediatica, della confusione ideologica e della morte delle Ideologie, della penetrazione su vasta scala degli organi istituzionali nella vita di ognuno e della interiorizzazione del Senso di Stato ed Autorità può accadere che sedicenti associazioni culturali o manifesti “fascisti del terzo millennio” (come spesso amano definirsi, tanto per rivestire di una patina nuova una sostanza trita e ritrita) s’inventino ad hoc un passato (piuttosto “recente”, a voler essere sinceri!) di ecologismo e attenzione alle tematiche ambientali e, più in generale, s’approprino, quando l’occasione lo richieda, di tutto un patrimonio culturale e simbolico che notoriamente non li identifica, caratterizzando invece chi tradizionalmente gli si oppone;
E può accadere che grandi Società, col consenso e l’appannaggio dei governi locali, spaccino per sviluppo e valorizzazione di un territorio, nocività come le trivellazioni petrolifere;

O può accadere che termini a noi cari come “libertà” diventino lame a multiplo taglio, assumendo, di volta in volta, a seconda di chi le utilizza e di chi le riceve, un significato quanto mai eterogeneo, giusto per ricordarci il relativismo, l’estrema pericolosità ma anche lo straordinario potere della Parola, “perchè le parole – come annotava già Gadda in pieno Ventennio – sono le ancelle di una Circe Bagasciona, e tramutano in bestia chi si lascia affascinare dal loro tintinnìo”, non hanno remore a prostituirsi alla retorica ufficiale, a quella “parlata falsa” che “falsifica l’animo” .
Cosi può accadere di invertire ruoli e nomi, di confondere i Carnefici con le “Vittime”, gli Oppressi con gli Oppressori o, peggio ancora, di affidarsi spontaneamente ad una parte dei propri aguzzini.

Tali dinamiche sembrano abbracciare anche la nostra piccola cittadina, tanto borghese e provinciale quanto lontana apparentemente dai grandi Temi e fuori dai Giochi e dalle Questioni che attanagliano la scena nazionale e internazionale.

Oggi è il caso della fiaccolata contro il femminicidio organizzata dall’attuale assessora alle Politiche Sociali e alle Pari Opportunità Maccauro. Al di là delle abituali contraddizioni che tale evento mette in luce (è triste e paradossale il fatto che a “muoversi” contro la violenza di genere sia soltanto un rappresentante delle istituzioni, per di più millantando fantomatiche “rivoluzioni culturali dal basso” – nulla di più lontano insomma rispetto a un’iniziativa realizzata a tavolino e calata dall’alto!) è difficile sottrarsi all’impressione che questa parata filo-istituzionale, che dovrebbe toccare “i punti più significativi in ordine alla difesa delle donne”, ovverosia il Tribunale, la Prefettura e il Comune nulla abbia a che fare con l’esigenza di rinsaldare la fiducia (evidentemente vacillante) dei cittadini nelle Istituzioni, con l’urgenza di riaffermare, in tempi di insubordinazione individuale e collettiva, il Senso e il Potere dello Stato, insieme coi suoi apparati e fedeli servitori.

Proprio a Benevento, infatti , il 21 giugno dell’anno corrente, dopo un inseguimento a bordo del suo Suv, in pieno stile hollywoodiano, il carabiniere Luigi Chiumento tagliava la strada e sparava a brucia pelo alla moglie Raffaella Renauro. Nella ricostruzione dell’accaduto si segue l’usuale copione: quello della gelosia, del raptus estemporaneo, della tragedia. La variabile però, quella che fa la differenza nella gestione mediatica e politica della faccenda, è il fatto che ad esserne protagonista sia un militare. Seguono allora le manifestazioni di cordoglio da parte dell’Arma, favolistiche ricostruzioni della vita del “malcapitato” per provarne la levatura morale ed umana, perchè non si metta mai in discussione il valore delle forze dell’ordine, e della loro (presunta) azione di tutela del cittadino, soprattutto qualora si parli di violenza contro le donne.
Ebbene, noi alla casualità e ad un intrecciarsi disorganico degli eventi non ci crediamo. Riteniamo invece che la fiaccolata suddetta oltre a porsi sulla scia delle varie “iniziative” filo-istituzionali a livello nazionale contro il femminicidio (che sembra essere l’ultima voga in fatto di retorica politica e di talkshow più quotati del momento), sia la ciliegina sulla torta.

Dopo l’utilizzo strumentale e politico-elettorale della violenza di genere nell’attuazione di politiche securitarie e xenofobe (a stuprare, uccidere e picchiare le donne, secondo questo tipo di infelice narrazione, era quasi sempre l’uomo”nero” di turno, il migrante venuto a “stuprare le nostre donne e a rubarci il lavoro”, il diverso da rinchiudere ed espellere), ecco giungere la nuova frontiera in fatto di speculazione politica e mediatica sui corpi e sulla vita delle donne; dopo il nemico da reprimere – rigorosamente “barbaro”, diverso, lontano dagli “italiani brava gente” – il nuovo paradigma si focalizza invece su un fantomatico “difensore”, a cui le donne dovrebbero affidare i propri corpi e a cui dovrebbero delegare la propria sicurezza: lo Stato e le Forze armate, polizia e militari, quegli stessi organi che attraverso i loro rappresentanti non solo si macchiano di “violenza domestica”, uccidendo, stuprando e malmenando le loro compagne, madri e sorelle perchè probabilmente hanno deviato dal ruolo che è stato scelto per loro (alla stregua di qualsivoglia marito, compagno, ex, padre e fratello), ma tradizionalmente abusano del loro potere ai danni delle donne (si pensi al tentativo di violenza sessuale respinto dalla nigeriana Joy nel Cie di Via Corelli a Milano da parte dell’ispettore-capo Vittorio Addesso o alle tante migranti che, già vittime di tratta, si ritrovano rinchiuse indebitamente in un lager istituzionalizzato, dove troppo spesso subiscono violenze e ricatti di ogni tipo da parte dei loro “difensori” in divisa; o si pensi agli “stupri di guerra”perpetrati da decenni da vari tipi di contingenti armati nei più svariati scenari di guerra internazionali – con punte paradossali in vicende che hanno visto coinvolti addirittura i “caschi blu” dell’Onu).

La violenza sulle donne è il fiore all’occhiello della Società Sessista ed Autoritaria in cui viviamo e di cui siamo, chi più chi meno, parte integrante. E’ il frutto della divisione dei ruoli sessuali, della distinzione tra deboli e forti, tra sentimentali e razionali, tra inferiori e superiori; è il risultato della Gerarchia, su cui la società patriarcale ed autoritaria erige le sue fondamenta.

Solo attraverso la decostruzione dei ruoli, la messa in discussione degli attuali rapporti sociali, delle dinamiche uomo-donna e di coppia, della delega e della stessa società autoritaria può passare il lento e difficile percorso di liberazione femminile.
Il primo passo è certamente una presa di coscienza; sta nel tornare a chiamare le cose con il loro nome, nel tentativo, indubbiamente controverso, di ricucire l’apparentemente insanabile divorzio tra linguaggio e mondo; per restituire, gaddianamente, alle Parole, al loro senso svuotato o pervertito, una rinnovata e piena immanenza alle Cose.

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