Questioni di esercizio… note critiche a margine del corteo del 25 febbraio

Nonostante si sia superato il centinaio di manifestanti, sicuramente mi sarebbe piaciuto che ci fosse stata più gente. Ma non dimentichiamoci che siamo a Benevento.

Che è prevista pioggia e che fa freddo.

Che i media mainstream sono giorni che mostrano le immagini della polizia che bastona chi si è cimentato in imprese simili, cosa che senz’altro non aiuta.

Che una cosa è fare i leoni da tastiera e millantare della necessità delle barricate contro (almeno) i fascisti (in camicia nera) ed una cosa è fare, è impegnarsi, è sporcarsi le mani.

Che una cosa è poter praticare un’egemonia politica di cartapesta a suon di interviste ai giornali, comunicati stampa e “azioni” simboliche, un’altra è scendere in strada con l’aria che tira, in un corteo che per quanto avesse rifiutato sin dal suo concepimento lo scontro diretto con la polizia, restava autoconvocato, non-autorizzato, selvaggio!

Probabilmente in condizioni “ambientali” diverse, diverse sarebbero stati gli obiettivi ed i tentativi per perseguirli. Probabilmente si sarebbe potuto spazzare via sia i fascisti che la polizia.

Oppure si sarebbe potuto occupare il teatro concesso dal Sindaco Mastella a Forza Nuova, impedendo a Fiore di esibire la sua paccottiglia ideologica, nostalgica del ventennio.

Oppure si sarebbe potuto decidere di rifiutare e criticare il dispositivo militare messo in campo dal Questore Bellassai, con la fermezza e la determinazione che questa città ancora, purtroppo, nonostante ne abbia tutte le potenzialità, non ha ancora avuto modo di vedere mai.

Ma sui “se” e sui “ma” non si fa la Storia.

La realtà dei fatti è che siamo a digiuno di esercizi quotidiani di “ginnastica rivoluzionaria” e di un dibattito costante e continuativo tra la frantumaglia di movimento. E lo dimostriamo con la maniera “impacciata” con cui facciamo le cose: interventi al megafono contorti, ripetitivi e non lineari; scritte sui muri dalla grafia incomprensibile e dal contenuto “ermetico” se non sterile; poca lucidità e prontezza rispetto a tutto quello che ci avviene attorno (i movimenti delle guardie, il modo di disporsi in strada, il dove dirigerci, il quando accelerare, rallentare, fermarsi); ma soprattutto l’assenza di quei momenti corali di autocritica per superare attraverso uno sforzo politico individuale e collettivo questi limiti, superati i quali tutto sarebbe più bello, più semplice più efficace, più soddisfacente.

Resta il fatto che la giornata di piazza di domenica 25 febbraio è stata importante per il segnale che ha dato. Non solo perché ha permesso di ribadire che il fascismo è un rifiuto della Storia, che esiste una pericolosa quanto subdola linea di continuità tra esso e le istituzioni della Repubblica Democratica, ma soprattutto perché ha ribadito che in questa città esiste una forza latente che può essere messa a valore, che la paura e la solitudine possono essere sconfitti con l’Organizzazione, che la rassegnazione dello “stamm’c’ ‘a’ cas’!” può cedere il passo all’ “arripigliamm’c’ e jamm’!”.

Un Compagno che c’è

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